Piero A. Di Pretoro - Direttore Istituto Italiano di Cultura a Zurigo
Il mio
primo contatto reale con la
Svizzera, se si eccettua qualche rapido attraversamento
turistico del territorio elvetico, ebbe luogo al principio del 1980, quando fui
destinato come giovane Addetto all’Istituto Italiano di Cultura di Zurigo, che
allora si chiamava “Centro di studi italiani”. Era la sera del 4 gennaio, e
arrivai in una Zurigo coperta di neve, ma che fin dal principio sentii come
amichevole e accogliente. Nei mesi successivi, sia attraverso il lavoro che
svolgevo sia attraverso l’amicizia con svizzeri e italiani da tempo residenti
nel Paese, ebbi modo di conoscere sempre meglio la Svizzera, non solo nelle
sue rinomate bellezze naturali, nella grandiosità dei suoi paesaggi alpini e
nella dolcezza dei suoi laghi, o nel fascino delle sue antiche città e dei suoi
monumenti artistici e storici, ma anche nelle sue istituzioni culturali, nelle
sue università, nei suoi musei, nelle sue istituzioni musicali e teatrali, nei
suoi centri di ricerca, nelle sue biblioteche: un grande patrimonio culturale
(non solo svizzero, ma europeo, anzi mondiale),un grande patrimonio di energie,
di competenze, di strutture gestito con la solerzia, la diligenza, la
precisione e talvolta la durezza che caratterizzano il temperamento elvetico.
In quelle istituzioni, scopersi man mano, operavano anche stranieri (molti
erano italiani o di origine italiana), accolti e apprezzati con un notevole
spirito di apertura internazionale. Anche la vita quotidiana svizzera fu per me
una piccola sorpresa: nonostante le differenza dialettali, linguistiche,
storiche, di religione e di costume da un cantone all’altro, essa presentava
una singolare unitarietà nella diversità, una unitarietà fondata sul rispetto
rigoroso di norme scritte e anche non scritte. Certo, non tutto era né poteva essere
perfetto: ad esempio la situazione dei nostri immigrati italiani (di una
emigrazione ormai stratificatasi attraverso più generazioni) non era sempre
ottimale e molto restava da fare affinché essi potessero sentirsi ed essere in
ogni senso, anche culturale ed umano, cittadini di pieno diritto – e
riconosciuti come tali – sia in Svizzera che in Italia; ma in molti di loro io
avvertivo, nonostante i sacrifici affrontati nella loro vita e i lavori spesso
faticosi che svolgevano, un attaccamento particolare, un senso di gratitudine
profonda verso la terra che li ospitava e che era diventata per non pochi di
loro la terra dove avrebbero vissuto tutta la loro esistenza pur mantenendo
gelosamente una forte identità italiana. Sono tornato a Zurigo circa un anno e mezzo fa come Direttore
dell’Istituto Italiano di Cultura e sono lieto e orgoglioso di concludere la
mia carriera qui dove l’ho cominciata. In questi ultimi trent’anni ho spesso
riflettuto sulla singolarità del rapporto tra due Paesi, come l’Italia e la Svizzera, amici e vicini,
legati da plurisecolari relazioni storiche, culturali, economiche, commerciali
e umane (la Svizzera
è stata in passato, come è noto, terra di asilo per patrioti e intellettuali
italiani, esuli in momenti storici drammatici, e ha accolto e accoglie oggi
nelle sue università e nei suoi centri di ricerca molti studiosi e docenti
italiani), eppure così diversi, così non paragonabili in tante cose, nei comportamenti
quotidiani dei singoli cittadini, in quelli della classe politica, negli
interessi e nelle abitudini, nella memoria storica. Unità nella diversità:
questo è l’esempio che ci dà la
Svizzera, un esempio e un insegnamento che possiamo riferire alla
nostra comune patria storica e culturale che è l’Europa. Conoscerci e imparare gli uni dagli altri,
accettando e rispettando le tradizioni, la storia e la cultura altrui come le
nostre. Questo credo sia il viatico migliore per il nostro futuro, un futuro
che gli studenti svizzeri e italiani di oggi sapranno riempire di contenuti
concreti e realizzare con ogni impegno ed efficacia.
Piero A. Di Pretoro
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