La frontiera comune La frontiera tra Italia e Svizzera



Autore: Lic. phil. Prof. Adriano Bazzocco, Svizzera
Responsabile scientifico: Prof. Dr. Carlo Moos, Svizzera
Referente didattico: Prof. Francesco Romano, Italia

La frontiera contesa: l’irredentismo1

Dall’Unità d’Italia la linea di confine con la Svizzera, a parte qualche minimo ritocco, non ha subito modifiche. La frontiera nazionale è stata tuttavia oggetto per lungo tempo di dispute e forti tensioni diplomatiche. Nel solco del processo risorgimentale sorse un movimento irredentista che esigeva il completamento dell’unificazione con i territori etnicamente italiani ancora sotto dominio straniero (le terre «irredente», non libere). Nato con l’obiettivo dell’annessione dei territori «italiani» rimasti all’Impero austroungarico, il movimento irredentista finì, nell’atmosfera di crescente nazionalismo, per rivendicare anche la Svizzera italiana.
Nel Ticino suscitava polemiche la presenza di una comunità sempre più forte e influente di svizzerotedeschi insediati nei posti di comando dell’economia cantonale, con propri circuiti sociali, maldisposti a imparare l’italiano e integrarsi. Di fronte alla minaccia dell’«intedeschimento» nacque, nel 1912, il periodico L’Adula2 , che si prefiggeva di affermare l’italianità storica, culturale e linguistica del cantone. L’Adula svolse la sua pubblicistica italofila prevalentemente in campo culturale senza aderire apertamente alle tesi irredentiste. Dopo l’ascesa al potere di Mussolini, il giornale assunse tuttavia un indirizzo più politico, fino a quando, nel 1935, il Governo federale ne decise la chiusura.
Mussolini ufficialmente disapprovava l’irredentismo e non mancava di riaffermare la sua amicizia nei confronti della Svizzera, ma sottobanco appoggiò in modo diretto L’Adula e la diffusione di articoli, saggi, libri, volantini firmati da fantomatici movimenti o autori che rivendicavano apertamente l’annessione del Ticino all’Italia.

Oltre al Ticino, gli irredentisti rivolsero un’attenzione particolare al Grigioni, cantone trilingue con una maggioranza tedescofona, una minoranza romancia ed una italofona. Secondo alcuni insigni linguisti il romancio non costituiva una lingua autonoma, ma un dialetto lombardo. Forti di queste tesi scientifiche, gli irredentisti sostenevano che, soltanto se messo sotto la tutela dell’Italia, il romancio sarebbe riuscito a risollevarsi dalla condizione di decadenza linguistica, culturale e spirituale nella quale versava a causa dell’avanzata del tedesco. Quale reazione alla forza centrifuga esercitata dall’irredentismo sorsero nei Grigioni due importanti associazioni per la tutela dell’identità linguistica e culturale rispettivamente italiana e romancia: la Pro Grigioni Italiano3 , nel 1918, e la Lia Rumantscha4 , nel 1919. Le mire annessionistiche italiane impressero inoltre un’accelerazione all’elevazione del romancio a quarta lingua nazionale (1938).
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, nella prospettiva di una spartizione della Svizzera tra Germania nazista e Italia fascista, la pubblicistica irredentista alzò il tiro spostando il confine dei territori da annettere fino a una «catena mediana delle Alpi».

Le tensioni e i conflitti diplomatici provocati dall’irredentismo furono tanto grandi, quanto scarsa, per non dire quasi nulla, fu la sua presa sulla popolazione svizzera.


La frontiera come risorsa: il contrabbando5

Se la frontiera ha esercitato sotto diversi punti di vista una funzione di separazione, la giustapposizione di situazioni diverse di qua e di là del confine è stata tuttavia spesso all'origine di relazioni e scambi. In particolare l'incontro di ordinamenti fiscali diversi, un regime tributario liberale in Svizzera e uno maggiormente protezionista in Italia, provocò intensi traffici di contrabbando. I traffici riguardarono beni come il tabacco, il caffè e lo zucchero che in Italia erano gravati di dazi o sottoposti a regime di monopolio. Le merci erano acquistate dai rivenditori svizzeri e trasportate a spalla nelle cosiddette bricolle (sorta di zaini parallelepipedi in tela di juta), lungo faticose e impervie vie di montagna, di notte per sfuggire al controllo dei finanzieri. Furono le depresse condizioni economiche locali a spingere larghe fasce della popolazione italiana delle regioni di frontiera a esercitare in modo più o meno regolare quest’attività faticosa e piena di pericoli. Gli svizzeri non contrabbandavano, si limitavano a fornire la merce. Siccome il contrabbando verso l’Italia non recava alcun danno all’erario svizzero, le autorità elvetiche tolleravano ampiamente il continuo viavai degli «spalloni». In quanto valvola di sfogo per situazioni di povertà endemica, il contrabbando non fu mai oggetto di riprovazione morale. La figura dello «spallone» godeva anzi di grande prestigio sociale ed era contornata da un alone romantico. La violazione delle leggi doganali rappresentò anche una forma di contestazione delle comunità di frontiera verso lo Stato centrale, percepito come esattore rapace, presente solo per le chiamate di leva e insensibile ai problemi locali.
Il contrabbando svolse un’importante funzione di strutturazione del tessuto socioeconomico delle regioni di frontiera. Le manifatture di tabacco, che si svilupparono in Ticino nella seconda metà dell’Ottocento, furono impiantate a ridosso della frontiera, nel Mendrisiotto e nel Locarnese, sia per reclutare le sigaraie sul mercato del lavoro italiano sia per la vicinanza dei canali di smercio illegale. Nel secondo dopoguerra nella Val Poschiavo (GR) sorse un numero molto elevato di torrefazioni di caffè, che nottetempo prendeva la via dell’Italia trasportato dagli «spalloni» lungo gli scoscesi sentieri alpini della zona.
Negli anni 1890 per cercare di arginare i traffici di contrabbando le autorità italiane disposero la costruzione lungo il confine dei una rete metallica. Nel corso del tempo la «ramina», com’è denominata dalle popolazioni di frontiera, si è imposta come tratto identitario forte delle regioni di frontiera.


L’«effetto frontiera» nel secondo dopoguerra

Il contrabbando fu praticato fino alla metà degli anni 1970, quando la svalutazione della lira fece venire meno i margini di guadagno di questi traffici. Dagli anni 1950 molti contrabbandieri ebbero tuttavia modo di rientrare progressivamente nella legalità grazie a una nuova e più sicura opportunità di guadagno: il frontalierato. Nel dopoguerra la Svizzera conobbe una fase di straordinaria crescita economica che generò una forte domanda di manodopera. Molte industrie s’impiantarono in Ticino per attingere al grande serbatoio italiano di manodopera a buon mercato. Lo sviluppo in Ticino del frontalierato fu dirompente: da 6862 lavoratori frontalieri nel 1956 si passò a 40 692 nel 1990. Oltre a incidere a fondo sullo sviluppo economico in Svizzera, il frontalierato provocò flussi migratori interni all’Italia: molti emigranti meridionali, per accedere al mercato del lavoro svizzero con lo statuto di frontaliero, presero residenza nei comuni italiani a ridosso della frontiera, che conobbero crescite demografiche tra il 30 e il 75 %. In Svizzera il frontalierato funse da cuscinetto congiunturale, perché questa riserva di manodopera poteva essere facilmente manovrata secondo l’andamento congiunturale.
Altro fenomeno di grande portata legato all’«effetto frontiera» – tornato recentemente di grande attualità con lo scudo fiscale disposto dal ministro italiano dell’economia Giulio Tremonti – è stato la fuga di capitali italiani in Svizzera. L’afflusso di capitali in Svizzera cominciò negli anni 1960 a seguito dello spostamento a sinistra dell’asse politico in Italia, dell’adozione di misure volte a rafforzare il controllo dello Stato sull’economia, dell’aumento della conflittualità sociale e dei timori per la tenuta della lira. L’obiettivo principale del contrabbando di valuta era di sottrarre i capitali agli accertamenti fiscali. Se l’ammontare dei flussi di capitale non è mai stato rivelato, il settore bancario ticinese registrò una crescita enorme: da 1500 impiegati nel 1960 passò a 6000 nel 1974. Lugano è diventata la terza piazza finanziaria della Svizzera.
Lungo la frontiera s’impiantarono anche numerosi distributori di benzina per rifornire una clientela italiana desiderosa di risparmiare su questo bene sottoposto in Svizzera a un regime fiscale più mite. Nei dintorni dei distributori sorse una selva di piccoli commerci per la vendita di una gamma di beni tipici o particolarmente a buon mercato, come orologi, cioccolata, dadi da minestra, sigarette ecc. Sempre all’ombra della frontiera altri rivenditori sorgevano, si riconvertivano e scomparivano rapidamente per rispondere alle mode e alle convenienze del momento (p. es. orologi Swatch sul finire degli anni 1980, telefonini cellulari negli anni 1990).


L’essenziale in breve

Nel corso del tempo la frontiera tra Italia e Svizzera ha assunto funzioni e significati diversi. Anche nei momenti in cui è stata maggiormente presidiata, non ha tuttavia mai cessato di mantenere un alto grado di permeabilità per uomini e merci. Il confine nazionale non ha agito come rigida linea di separazione, ma piuttosto come luogo dinamico di congiunzione e scambio. I processi di globalizzazione e d’integrazione europea, che con gli Accordi bilaterali e di Schengen coinvolgono a pieno anche la Svizzera, hanno portato a un notevole allentamento della frontiera. Le realtà locali saranno sempre più chiamate a trovare ai loro problemi soluzioni concordate direttamente con i partner oltre frontiera, senza passare dai governi nazionali. Nel 1995 è stata costituita una comunità di lavoro transfrontaliera denominata Regio Insubrica, alla quale partecipano il Cantone Ticino e le province di Verbano-Cusio-Ossola, Varese, Como e, dal 2007, Lecco e Novara. Le finalità e la portata di questa istituzione, ancora semisconosciuta alla popolazione, sono vaghe. La ridefinizione delle relazioni di frontiera nell’epoca della globalizzazione resta una sfida aperta.




Bibliografia:
• BAZZOCCO Adriano, «Contrabbando alla frontiera italo-ticinese nella seconda metà dell’Ottocento. Stato delle ricerche, problemi metodologici, proposte interpretative», in: Lo spazio insubrico. Un’identità storica tra percorsi politici e realtà socio-economiche (1500-1950), a. c. di Luigi Lorenzetti e Nelly Valsangiacomo, Bellinzona, 2005, pagg. 147-170.
• RATTI Remigio, «L’effetto economico spaziale della frontiera nelle relazioni fra Svizzera e Italia dal 1848 a oggi», in: Lo spazio insubrico. Un’identità storica tra percorsi politici e realtà socio-economiche (1500-1950), a. c. di Luigi Lorenzetti e Nelly Valsangiacomo, Bellinzona, 2005, pagg. 259-283.


Letture consigliate:
• LEIMGRUEBER Walter, Il confine e la gente. Interrelazioni spaziali, sociali e politiche fra la Lombardia e il Canton Ticino, Varese, 1987.

1 Irredentismo (http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I17428.php)
2 L'Adula (http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I24590.php)
3 Pro Grigioni Italiano (http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I49086.php)
4 Lia Rumantscha (http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I24592.php)
5 Contrabbando (http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I26198.php)

 



Fig. 1: Nel corso della seconda guerra mondiale gli irredentisti diffusero la teoria della «catena mediana delle Alpi» che prevedeva l’annessione


Fig. 2: Caricatura durante la Prima Guerra mondiale che mostra le differenze tra la Svizzera francese e la Svizzera tedesca.
In: Barbara Bonhage, Peter Gautschi e Gregor Spuhler: Hinschauen und Nachfragen, Zürich 2006, p. 40., NEBELSPALTER



Fig. 3: La «ramina», la rete metallica collocata lungo il confine tra Italia e Svizzera (Foto Ch. Schiefer, 1948, ASTi Bellinzona)