Il federalismo Il federalismo italiano e la Svizzera



Autore: Dr. Fabrizio Mena, Svizzera
Responsabile scientifico: Prof. Dr. Carlo Moos, Svizzera
Referente didattico: Prof. Vincenzo Micocci, Italia

La Svizzera, nel 1848, fu il primo stato europeo ad adottare una costituzione federale1 , sul modello degli Stati Uniti d'America. Qui, nel 1787, era stata introdotta una forma di organizzazione politica inedita, fondata sulla ripartizione della sovranità tra lo Stato centrale e gli Stati membri. Anche in Svizzera, la parziale centralizzazione delle competenze e una più salda unione tra i Cantoni suscitò delle resistenze: non a caso, la costituzione federale fu preceduta da una guerra civile (1847/48), che vide i Cantoni liberali e protestanti imporsi su quelli conservatori e cattolici, intenzionati, questi ultimi, a salvaguardare la propria tradizionale sovranità2. Tra centralizzazione e modernizzazione da una parte e particolarismo e conservatismo dall'altra, i vincitori della guerra trovarono con la costituzione del 1848 una soluzione tipicamente svizzera che continua a essere applicata fino ad oggi: il compromesso.


I precursori italiani del federalismo

Nel momento in cui nasceva la nuova Svizzera, il pensiero federalista italiano si era già manifestato in vario modo: a fine Settecento con Giovanni Antonio Ranza, che aveva teorizzato gli Stati liberi federati d'Italia; in epoca risorgimentale con Vincenzo Gioberti, sostenitore di una confederazione di Stati italiani sotto la guida del Papa; con Cesare Balbo, Luigi Torelli e Giacomo Durando, fautori di un federalismo moderato, organizzato dalla monarchia sabauda. Giuseppe Mazzini (1805-1872), fuggito a Ginevra nel 1830, preconizzò l'unità della Penisola, ma nel contempo anche un'Europa unita in senso federalistico3 . La Giovine Europa, da lui fondata a Berna nel 1834, fu il primo tentativo di promuovere un'«Internazionale» dei popoli europei, ovvero un'organizzazione dei movimenti nazionalisti, in lotta contro l'Europa conservatrice, illiberale e monarchica della Santa Alleanza. Mazzini riteneva che la federazione repubblicana avrebbe garantito a un'Europa ricostruita su basi nazionali – dopo la conquista del «libero esercizio della loro sovranità» da parte dei suoi popoli – di realizzare solidarietà, fratellanza e progresso: ipotesi clamorosamente smentita dalla storia europea del primo Novecento. Con Mazzini e Garibaldi nel 1848, per sfuggire alla persecuzione dei poteri conservatori, due personaggi di primo luogo del Risorgimento italiano trovarono nella Svizzera una terra d’asilo.


Il federalismo di Carlo Cattaneo

Il milanese Carlo Cattaneo (1801-1869) è considerato il precursore del pensiero federalista novecentesco4 . La sua riflessione, fondata sulla conoscenza diretta delle istituzioni elvetiche e sulla convinzione del carattere autoritario dello Stato unitario, lo portò, nel 1851, a definire il federalismo «unica possibile teorica della libertà». A Lugano, dove fu esule dal 1848, pubblicò la prima edizione italiana dell'Insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra (1849), nella quale affermava che il principio della nazionalità avrebbe dissolto «i fortuiti imperi dell'Europa orientale» e favorito la nascita di «federazioni di popoli liberi», ed esprimeva la persuasione che solo gli «Stati Uniti d'Europa» avrebbero garantito una «pace vera». La libertà, non l'unità, doveva essere secondo lui l'obiettivo degli italiani, e solo il federalismo poteva consentirne la realizzazione. Nel centralizzare a forza, invece, la monarchia sabauda o la repubblica mazziniana avrebbero dal suo punto di vista mortificato leggi, consuetudini, tradizioni, costumi, dialetti e peculiarità locali, soffocando così la “padronanza” delle parti.
Cattaneo vedeva negli Stati Uniti d'Italia la sola formula «compatibile colla libertà e coll'Italia», ricalcata – come scrisse nel 1856 – sul «gigantesco esempio» della Svizzera del 1848, poiché «libertà è repubblica, e repubblica è pluralità, ossia federazione» (1852). Le nuove repubbliche italiane, forgiate sulle dimensioni delle antiche comunità storiche, avrebbero costituito una federazione fondata sulla volontà dei cittadini, regolata da un “patto” che avrebbe definito la ripartizione delle competenze fra Stato centrale – istanza unificante in materia di difesa, politica estera e politica monetaria – e Stati membri. Se il patto federale rappresentava «la sola possibil forma d'unità tra popoli liberi», la federazione doveva scaturire da un processo di annessione e non di assorbimento, e configurarsi come un organismo dotato di un «congresso comune per le cose comuni», ma nel contempo caratterizzato da decentramento, autonomia e responsabilità delle parti, con «ogni fratello padrone a casa sua» (1860). Del resto, già nel 1850 aveva scritto che il giorno in cui l'Europa fosse diventata «tutta simile alla Svizzera, tutta simile all'America», trasformandosi in Stati Uniti d'Europa, si sarebbe finalmente liberata dalla «luttuosa necessità delle battaglie, degli incendi e dei patiboli».


Il rilancio del pensiero federalista nell'Europa in guerra

L'ipotesi federalista venne rilanciata negli anni Trenta del Novecento, parallelamente al collasso degli Stati nazionali e al consolidarsi delle dittature. Nel 1933, il principale ispiratore del movimento «Giustizia e Libertà», Carlo Rosselli (1899-1937), vedeva nella costituzione degli Stati Uniti d'Europa la sola alternativa al fascismo dilagante. A partire dallo stesso anno, il gruppo d'intellettuali riuniti attorno alla rivista parigina non-conformista «L'ordre nouveau» (1933-1938)5 , avviarono una riflessione su un nuovo modello di società e di Stato, all'insegna di un federalismo integrale, inteso come capovolgimento del centralismo democratico, mediante l'applicazione dei principi di autonomia, cooperazione, partecipazione e sussidiarietà.
Esponente del federalismo integrale in Italia fu l'ingegnere piemontese Adriano Olivetti (1901-1960), che riassunse le sue concezioni nel libro L'ordine politico delle Comunità (1945). Esule in Svizzera dal 1944, Olivetti pensava a comunità di 75.000 – 150.000 abitanti, come condizione per realizzare una partecipazione diretta e continuativa alla vita politica, edificare istituzioni legittimate dall'investitura popolare e fondate sul requisito della competenza. D'altra parte, le sue riflessioni non si limitavano al piano nazionale, ma si estendevano a quello europeo e mondiale.
Altre voci contribuirono, in quel torno di tempo, ad alimentare il dibattito sul federalismo. Il valdostano Emile Chanoux (1906-1944) ispirò nel 1943 la Dichiarazione di Chivasso. Si trattava, nel caso specifico della Valle d'Aosta, di vedere riconosciute la libertà della lingua e di culto, minacciate dalla politica di italianizzazione attuata dal regime fascista. Nel 1944, Chanoux chiarì che «un'unione fra i diversi popoli europei» sarebbe stata possibile solo «nel rispetto reciproco dei diritti e della storia di ognuno», nel quadro di «un regime federale, sul tipo svizzero».


I federalisti italiani e l'esilio in Svizzera

Furono tuttavia due antifascisti confinati nell'isola di Ventotene, Ernesto Rossi (1897-1967) e Altiero Spinelli (1907-1986), a segnare una svolta nella tradizione federalista, dichiarando la necessità del passaggio dalla riflessione teorica all'azione politica6 . Nel Manifesto di Ventotene (1941), individuate nella sovranità nazionale e nell'anarchia internazionale le cause dell'imperialismo e della guerra, affermata la necessità di superare il binomio Nazione-Stato, annunciarono la volontà di fondare un Movimento Federalista Europeo, ciò che avvenne nell'agosto 1943, a Milano, a poche settimane dalla caduta del fascismo e dalla loro liberazione dal confino. Dopo l'armistizio (8 settembre), Rossi e Spinelli ripararono in Svizzera: un paese, scriverà Spinelli nel 1984, «che in piccolo prefigurava quel che sognavo per l'Europa». Qui, raggiunti da altri federalisti italiani, i due si adoperarono a promuovere il progetto degli Stati Uniti d'Europa fra i movimenti della Resistenza europea.
Rossi e Spinelli allacciarono relazioni con uomini politici e intellettuali svizzeri, con rifugiati tedeschi e francesi ed ex diplomatici della Società delle Nazioni, coinvolgendoli in una serie di incontri, nel 1944, dai quali scaturì la Dichiarazione federalista dei movimenti della Resistenza europea, nella quale venne formalizzato l'impegno ad attivarsi, a guerra conclusa, per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Nel frattempo vennero organizzate sezioni del Movimento Federalista Europeo a Lugano, Zurigo e soprattutto a Ginevra, e venne avviata un'intensa attività pubblicistica, che si concretizzò in particolare nella pubblicazione dei «Quaderni del Movimento Federalista Europeo» (1944 - 1945) e di testi di Ernesto Rossi e di Luigi Einaudi, per le Nuove Edizioni di Capolago (Lugano).


Il rilancio del progetto federalista in Italia

Le speranze maturate in Svizzera andarono deluse alla fine della guerra, quando l'Europa venne riorganizzata secondo la logica delle sovranità separate degli Stati, così come l'opzione federalista venne esclusa dalle discussioni dall'Assemblea costituente, chiamata ad elaborare la costituzione dell'Italia post-fascista. Non a caso, fu proprio la crisi della “prima repubblica”, nei primi anni Novanta, a rilanciare il dibattito sul federalismo italiano, sulla scorta soprattutto delle riflessioni del politologo comasco Gianfranco Miglio (1918-2001), che già nel saggio Le contraddizioni dello Stato unitario, del 1969, aveva denunciato i guasti dall'accentramento amministrativo imposto dal Regno d'Italia.
Nel 1993, Miglio presentò il Decalogo di Assago, nel quale preconizzava la nascita di un'Unione Italiana intesa come una libera associazione di tre Repubbliche federali o macroregioni – il Nord, l'Etruria, il Sud – e delle cinque regioni autonome definite dalla costituzione italiana del 1947. Dotata di un governo comune competente solo in un numero limitato di settori, l'Unione avrebbe lasciato la massima sovranità alle parti. A tale disegno, la Lega Nord preferì una politica di contrattazione con lo Stato centrale, finalizzata al rafforzamento dell'autonomia delle regioni, ciò che spinse Miglio a dissociarsene per promuovere, con scarsa fortuna, dapprima l'Unione federalista (1994), poi il Partito federalista (1995), rilanciando il programma di Assago, intriso di riferimenti al federalismo statunitense ed elvetico.


L’essenziale in breve

Nel 1848 la Svizzera fu il primo stato europeo ad adottare una costituzione federale, sul modello degli Stati Uniti d'America. Anche in Svizzera, la parziale centralizzazione delle competenze e una più salda unione tra i Cantoni suscitò delle resistenze: non a caso, la Costituzione federale fu preceduta da una guerra civile (1847/48), che vide i Cantoni liberali e protestanti imporsi su quelli conservatori e cattolici. Con il federalismo, i vincitori della guerra civile seppero trovare un’equilibrio politico che permise agli sconfitti di poter mantenere una propria autonomia culturale, ad esempio in ambito religioso e scolastico.



Bibliografia:
• BRAGA Antonella; Francesca Pozzoli, Il dibattito sulla Federazione Europea in Svizzera (1943-1945): movimenti progetti, incontri internazionali, in Le Alpi e la guerra, funzioni e immagini, a cura di Nelly Valsangiacomo, Lugano, Giampiero Casagrande – Milano, Fidia Sapiens, 2007, pp. 79-130.
• CATTANEO Carlo: i temi e le sfide, a cura di Arturo Colombo, Franco Della Peruta, Carlo G. Lacaita, Lugano, Giampiero Casagrande – Milano, Fidia Sapiens, 2004.
• Spiriti liberi in Svizzera. La presenza di fuorusciti italiani nella Confederazione negli anni del fascismo e del nazismo (1922-1945), a cura di Raffaella Castagnola, Fabrizio Panzera, Massimiliano Spiga, Firenze, Cesati, 2006.


Letture consigliate:
• CATTENEO Carlo, Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, Lugano, Tipografia della Svizzera Italiana, 1849.
• OLIVETTI Adriano, L'ordine politico delle Comunità. Le garanzie di libertà in uno Stato socialista, Samedan, Nuove Edizioni Ivrea, 1945.
• SPINELLI Altiero, ROSSI Ernesto, Problemi della federazione europea, [Roma], Edizioni per il Movimento italiano della Federazione Europea, 1944.

1 Costituzione federale http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I9811.php
2 Federalismo: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I46249.php
3 Giuseppe Mazzini: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I24168.php
4 Carlo Cattaneo: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I10128.php
5 Denis De Rougemont: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I16205.php
6 Ernesto Rossi: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I27925.php

 



Fig 1: «Der Herr Schullehrer ist ein grosser Mann bei dem der Pfarrer selbst noch lernen kann» – «Il signor insegnante è un grand’uomo, addirittura il prete può ancora imparare qualcosa da lui.» Aquarello dello scrittore e caricaturista David Hess (1835), che mostra il contrasto tra il professore liberale e modernista e il prete conservativo e tradizionalista.
In: Jan Hodel u.a., Geschichte der Neuzeit, Zürich 2009, S.45